«Tenere i nervi saldissimi» – ha detto in conclusione dei lavori della riunione il ministro Bianchi riferendosi alle emergenze in corso.
Quella pandemica, «vaccinare il personale il prima possibile: bisogna andare a scuola sentendosi in sicurezza», quella legata alle decisioni dei Governatori, «va riaperto il tema dei rapporti Stato-Regioni, bisogna affrontare le cose per quello che sono», quello legato al dialogo istituzionale, «non dobbiamo avere paure, ma coscienze sì», quello legato al lavoro da fare, «servono operazioni strutturali, dobbiamo uscire dalle azioni congiunturali e dalla continua emergenza».
Una riunione aperta con garbo reciproco. Il ministro che chiede di trasmettere la sua stima a tutti i lavoratori della scuola – e poi invia una lettera – che sottolinea che «bisogna ridare dignità alle persone che insegnano» e che i ragazzi «sono persone in formazione». Un cambio di linguaggio netto che si ritrova in affermazioni come «ritrovare lo smarrimento delle persone», «pensare alla scuola non solo come ‘risorse’ umane, ma ‘umane’ risorse». E poi «ce la faremo insieme».
L’impegno è a fornire dati, a dar loro trasparenza (per questo è stato già creato un gruppo di lavoro). A partire da quelle stesse informazioni contenute nel Rapporto finale di luglio 2020, secretate per mesi, che il ministro ha voluto pubblicare appena nominato.
Un discorso ampio, che ha toccato molti aspetti – i dati europei, la risposta alle crisi economiche «la peggiore quella del 2011, 2012 anno del salto tra 2Ge 3G» , le risorse economiche, la digitalizzazione, il tasso di abbandono scolastico esplicito e implicito, le disuguaglianze, l’inclusività, l’accoglienza, le sperimentazioni «avviato un gruppo di lavoro che ne metta a frutto i risultati», i percorsi tecnico professionali, l’autonomia scolastica, le prove Invalsi «che non vanno a sostituire il giudizio degli insegnanti, sono strumento di lavoro per raccogliere dati», la maturità «che non è un test, ma un esame che racchiude un intero percorso».
La «fiducia è l’elemento dal quale ripartire» – ha detto Pino Turi in apertura del suo intervento nel corso della riunione.
Quello che è mancato fino ad ora è un clima di fiducia che permettesse di superare i conflitti. La scuola è in emergenza. C’è grande preoccupazione. Quello che serve è «un cambio di passo e di tendenza: questo vuol dire non solo velocità ma cambio di direzione» ha detto Turi ricordando come le attuali condizioni in cui versa il nostro sistema di istruzione siano il risultato di oltre vent’anni di politiche di disinvestimento, di logiche neo liberiste.
Ora occorre lungimiranza. «Serve una visione – ha sottolineato Turi – che governi l’emergenza e dia strumenti per fare, per trovare soluzioni, per dare stabilità».
Prioritario il tema della libertà di insegnamento: «In che modo – ha chiesto Turi al ministro – intenderà salvaguardarlo?»
Cruciale il riferimento alla questione precariato, che – numeri alla mano del ministro ha raggiunto quota «213 mila persone con contratto a tempo e oltre 25 mila del personale Covid» – ha bisogno di soluzioni alternative. Non si possono legare i tempi del reclutamento previsti per le pubbliche amministrazioni con quelle dell’istruzione. Il sistema dei concorsi ha mostrato tutti i suoi limiti nella scuola.
Siamo convinti che il punto di partenza siano gli organici. La nostra proposta – ha sottolineato Turi – è passare a organici triennali. Questa ipotesi di lavoro consentirebbe di fare programmazione sulle assunzioni, sui trasferimenti, darebbe stabilità al lavoro e continuità alla didattica.
Facendo leva sui temi che necessitano di decisioni politiche Turi ha richiamato il tema della mobilità.
«Ci sono materie che sono riserva di legge – ha detto Turi – altre che sono contrattuali. Se si apre il contratto sulla mobilità si può semplificare, superare stratificazioni burocratiche. Con un atto di indirizzo si può eliminare il vincolo quinquennale».
Solo un cenno al calendario scolastico, prerogativa delle regioni: le scuole hanno lavorato – questo il clima.
Un passaggio anche sulla formazione, che non può essere né burocratica, né autoritativa: non se ne può più.
La cosa più gentile all’indirizzo dei docenti e del personale della scuola è del ‘non sei capace’, ‘ sei indietro’, ‘vai formato’. Formazione obbligatoria e strutturale per tutti, come se si trattasse di un opificio che, cambiando la catena produttiva, ha bisogno di ricominciare daccapo.
Anche l’Invalsi deve essere indipendente e autonomo e non prestarsi a surrogare il lavoro dei docenti, il cui elemento costitutivo è proprio la valutazione individuale dell’alunno. Le prove dell’Istituto non debbono sovrapporsi al giudizio degli insegnanti. Se i dati che vengono raccolti orientano le policy della scuola, bisogna essere certi che non siano errati. Gli interventi correttivi rischiano di essere anch’essi errati come il presupposto da cui partono.
Ultimo dato derivante dalla situazione emergenziale: il rinvio delle elezioni del Cspi per il quale restano gli incarichi di nomina e non quelli elettivi.